19th January 2025

Quando gli chiedo quando ha iniziato a collezionare questi volumi, mi bacchetta dicendo che per lui l’atto del collezionismo è la parte più noiosa («riferendomi all’thought effimera del possesso») del processo di ricerca che lo precede e che invece lo affascina maggiormente: si tratta, per lui, di «scoprire l’oggetto, l’artista, la rilegatura, l’immaginario, le fotografie, il contenuto». Ha avuto inizio attorno ai 17 anni, quando durante il liceo ricorda di essersi imbattuto in una prima edizione di Arte Povera di Germano Celant, in The Fourth Intercourse di Raf Simons e in alcune prime edizioni di Joseph Beuys. «Mi ricordo di essermi particolarmente legato alle pubblicazioni di Celant, specialmente Arte Povera, non solo per il libro in sé ma anche per il modo in cui riusciva a coniugare e raccontare la nascita di un movimento così potente, probabilmente l’ultimo vero movimento artistico. E, allo stesso tempo, gli artisti che ne facevano parte (quali Anselmo, Kounellis, Merz, Boetti, Penone) sono anche quelli che per metodologia, angle mi hanno indirettamente avviato a questa atipicità e guerrilla di una anti-libreria come Veins Books». Se gli chiedo invece di citarmi i cinque volumi da non perdere al pop-up milanese, mi cube: «Footage di Robert Mapplethorpe; Seventh Heaven di Patti Smith; Might the Circles Stay Unbroken di Corinne Day; 2 di Larry Clark e infine Narcotic Photographic Doc di Kazuo Kenmochi».

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